mercoledì 16 ottobre 2013

La stagione secca 'fuori stagione'

La pioggia è arrivata. Improvvisa e impetuosa come lo sono tutti gli elementi naturali qui: nulla comunica dolcezza e grazia, ma forza, incredibile forza. E con la pioggia torna la speranza: nell’ultimo mese i campi sono restati troppo a lungo senza acqua. Mi dice il responsabile del servizio ambientale che fino a qualche anno fa la stagione delle piogge cominciava a fine maggio: “Non serve andare indietro di decenni, anche solo cinque anni fa. Quest’anno le prime vere piogge sono arrivate a metà luglio. Il cambiamento climatico è concreto.” Sono tornata a Niaogho il 19 settembre. È un nuovo paesaggio quello che mi accoglie: ho lasciato a luglio una terra arida, con i toni predominanti del giallo e dell’ocra, e ora ritrovo una esplosione di verde. Mais, miglio, arachidi accompagnano senza sosta lo sguardo di chi si sposta dalla capitale verso questo lembo di paese. Dico all’immancabile Abas che mi sembra strano questo paesaggio, così diverso dopo soli due mesi di assenza. Ma la sua espressione è preoccupata e mi indica le piante ai bordi della strada: “Vedi?! Non piove, si sta rovinando tutto! Vedi come è basso il miglio?! Non dovrebbe essere così. La pioggia ci ha dimenticati.” Al villaggio la preoccupazione è tanta: tutti mi parlano di questa stagione secca ‘fuori stagione’. “È da quattordici giorni che non piove! Cosa mangeremo i prossimi mesi?! Sarà un problema. Ma Dio è grande e ci aiuterà.” Lo stato ha inviato sacchi di mais da 50 kg che mette in vendita al prezzo ridotto di 6mila CFA (il prezzo di mercato sarebbe 10mila CFA), ma Zedane, che si occupa per conto della prefettura della distribuzione, mi dice che sono pochissime le persone che lo acquistano. “Le persone sperano ancora che la pioggia arrivi abbondante, così da recuperare almeno il salvabile. Lo stato avrebbe dovuto inviarli più avanti, invece, visto che rimane tutto invenduto, fra qualche giorno verranno a ritirarlo. Fra l’altro, anche volendo, i niagholesi ora come ora non hanno soldi per acquistarlo. Inoltre il mais inviato è quasi tutto inutilizzabile”. Vado nel magazzino per vedere coi miei occhi, ed il sorvegliante davanti a me buca con una lama almeno sei sacchi prima di trovarne uno contenente mais ‘buono’: “È tutto guasto” mi dice con aria sconsolata allargando le braccia e portando lo sguardo verso gli innumerevoli sacchi che riempiono fino al soffitto le tre stanze. Ma non c’è rabbia nelle loro parole, non c’è senso di impotenza, non trovo disperazione. Scorgo piuttosto tanta rassegnazione, e ricorso a quel Dio a cui tutti qui affidano la propria vita e che - loro ne sono certi - saprà aiutarli in qualche modo.

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