venerdì 25 novembre 2011

Con il cuore a pezzi

Da oltre una settimana sono al CSPS per la distribuzione dei farmaci gratuiti alla popolazione. I medicinali sono parte di una donazione fatta nell’aprile scorso al COGES, il comitato che gestisce il CSPS, che però non è stato in grado di gestirli.
Da che sono qui, mi sono resa conto di quanto sia difficile aiutare: talvolta noi occidentali nella foga del donare non pensiamo ai possibili risvolti che i nostri gesti possono avere.
Una donazione di farmaci, in una situazione come questa in cui le persone davvero muoiono per impossibilità di accedere alle cure, come può creare problemi?
E invece può. O meglio, è l’incapacità di gestire una cosa come questa a crearli.
Ora è tutto a posto, la soluzione è stata trovata, ed il fatto che sia io direttamente a distribuirli (in base alle prescrizioni mediche - s’intende) mette d’accordo tutti.
Lo stare al CSPS è una grande ‘esperienza dentro l’esperienza’: è una scuola di vita. È tutto così diverso da ciò che accade da noi, nei nostri ambulatori medici. Sono diversi la compostezza dei pazienti, la remissività dei bambini, la dolcezza del personale, la loro umana pietà, il rapporto con la perdita.
Talvolta l’esperienza diviene difficile: una settimana fa è arrivata una mamma con la sua piccolina di appena 5 mesi, le cui condizioni disperate rendevano necessario il trasferimento in ambulanza a Tenkodogo. Hanno atteso troppo prima di chiedere aiuto, e la malattia è divenuta grave. Disperazione della mamma e della nonna per la totale mancanza di mezzi, impossibilità di raggiungere anche solo telefonicamente il padre della bimba, andato a lavorare in un villaggio a 13 km di distanza. Si trovano i soldi per l’ambulanza e anche qualcosa da dare alle donne per gli eventuali farmaci da acquistare e per il cibo, nel caso in cui debbano trattenersi a Tenkodogo per alcuni giorni. Le rivedo 4 giorni dopo, la bimba sta un po’ meglio, ma deve assumere dei farmaci che la famiglia non può assolutamente permettersi (costo totale corrispondente a circa 1 €). Si trovano i soldi per i farmaci e sembra tutto a posto.
Ieri notte le incontro sulla via (la loro casa è a circa 50 metri dalla mia): stanno andando dal Marabou (una sorta di guaritore veggente) perché la bimba sta ancora male. Insisto fino allo sfinimento per convincerle ad andare al CSPS, non dal Marabou, che non può aiutarle. Chiamo il Major, per chiedergli se posso portargli la bimba, ma il telefono è staccato, e le donne riprendono la loro strada. Stamattina passo a casa loro per andare insieme al CSPS: troppo tardi. La bimba è morta stanotte.
I familiari hanno una compostezza indicibile.
Io ho il cuore a pezzi.
Anche questa è Africa.

domenica 20 novembre 2011

Pioggia e cereali

A Ouaga ho avuto l’occasione di leggere i quotidiani locali, che al villaggio non arrivano anche perché sarebbero ben poche le persone in grado di leggerli.
La notizia che campeggia è l’imminente crisi alimentare. La campagna agricola 2011-2012 si è conclusa con un grave deficit nella produzione cerealicola, causato da una insufficiente piovosità durante la stagione delle piogge. Secondo le stime del governo, mancano all’appello circa 32mila tonnellate di cereali, per gran parte riso e grano.
Su 45 province, 14 hanno un tasso di copertura superiore al 120%, 14 sono pressoché in situazione di equilibrio e le restanti 17 hanno avuto una produzione di cereali assolutamente inferiore alle aspettative, in alcuni casi (si prenda ad esempio la provincia di Kadiogo) sufficiente a coprire appena il 13% del fabbisogno.
La provincia di Boulgou (in cui si trova Niaogho) rientra fra le situazioni ‘di equilibrio’, con una copertura di circa il 93%, ma la popolazione è ben conscia di ciò che li aspetta e la preoccupazione per i prossimi 7 mesi è palpabile. D’altra parte il livello dell’acqua nel Nakambé è paurosamente basso per essere in novembre (perciò all’inizio della stagione secca), ed è impressionante vedere con quanta rapidità questo livello vada abbassandosi di giorno in giorno.
Il governo non fa altro che ricordare che ha già un piano ben definito per sfamare la popolazione, ricorrendo eventualmente all’importazione e alla diffusione a prezzi sociali.
Prezzi sociali.
Mi viene proprio da ‘ridere’.

mercoledì 16 novembre 2011

Ouaga è tutta un'altra storia

Ouagadougou è tutta un’altra storia.
Sono andata in capitale per un paio di giorni, per alcune commissioni: traffico convulso, tutti di corsa e relazioni personali ridotte al minimo. È esattamente il contrario di ciò che accade al villaggio, ed è per questo che già la seconda sera non vedevo l’ora di tornarmene a Niaogho.
Per raggiungere Ouaga ho utilizzato il taxi brusse: un pulmino anni ’60 da circa 15 posti compreso l’autista. All’andata eravamo 25 dentro l’abitacolo, 3 sul tetto insieme ai vari bagagli, scooter, bici, tre capre e un montone. Al ritorno siamo rimasti tutti pressati all’interno, probabilmente perché era già buio e sarebbe stato rischioso rimanere sul tetto. Qualche timore per la guida a dir poco spericolata del giovane conducente, ma in un paio d’ore sono giunta a destinazione, incolume e felice di riabbracciare Niaogho. Tutti sorpresi i miei compagni di viaggio, non è frequente che una bianca salga su un taxi brusse, e sono stata perciò accolta da sorrisi e calorosa accoglienza. Effettivamente è un mezzo di trasporto che, come la bicicletta, avvicina incredibilmente alle persone. È un modo per mettere da parte i privilegi e accettare le ‘loro’ condizioni: andare in capitale con un’auto costa minimo 50 euro per il carburante (senza considerare le eventuali riparazioni e il compenso per l’autista - io posso guidare al villaggio, ma in capitale, dove vige la legge del più forte, non ci penso neppure -), con il taxi brusse 5000 CFA (8 euro), e puoi caricare tutti i bagagli che vuoi. Ma soprattutto: chi ha l’auto al villaggio?! Il commerciante più ricco ne ha ben due, ma ovviamente vuole lucrarci sopra… e le latre tre auto che si vedono in giro… bhé, dubito fortemente riuscirebbero ad arrivare a Ouaga.
Una volta arrivati in capitale, ci si sposta coi taxi, molto spesso collettivi (nel senso che i posti disponibili vengono sfruttati al massimo): scassatissime auto verdi che ti chiedi come possano ancora funzionare e per cui ogni volta devi contrattare fino allo sfinimento.
Non ci sono orari di partenza per i taxi brusse: arrivi, paghi il biglietto, e aspetti che il taxi si riempia. Potrebbero passare 10 minuti, come un’ora o due ore. Ma noi non abbiamo fretta.
Qui non esiste il concetto di fretta. Ad eccezione di Ouaga.
Ouaga è tutta un’altra storia.

mercoledì 9 novembre 2011

La corsa in ambulanza

Sono le ore 19 quando mi chiama l’infermiere per dirmi che il guardiano del CSPS si è ferito tagliando un albero: è molto grave e occorre portarlo all’ospedale di Tenkodogo con l’ambulanza.
Un tuffo al cuore: sono io ad avere insistito perché quell’albero caduto fosse tagliato… e se ora dovesse succedere qualcosa di irreparabile… non potrei perdonarmelo.
Prendo la mia bici e con Abas corro al CSPS - quel km mi è parso eterno: trovo il guardiano sofferente, ma già tiro un sospiro di sollievo perché cammina da solo e mi sembra che sia solo il braccio ad essere stato colpito. L’infermiere di turno (il notturno inizia alle 17) e il Major stanno chiacchierando del più e del meno in attesa dell’autista dell’ambulanza, che hanno chiamato circa 30 minuti prima.
Nell’attesa chiedo se sia stato per lo meno somministrato un analgesico per calmare il dolore. No, non ci avevano pensato, ma “ormai le due farmacie sono chiuse. Mi dispiace”.
Scusate, ma non avete qualcosa qui? Posso pagare.”
Ok, va bene.”
Tempo altri 20/30 minuti e arriva l’autista dell’ambulanza, una jeep 5 porte che fatica un pochino a mettersi in moto.
Saliamo tutti. Sembra di essere dentro uno shaker per quanto sobbalziamo percorrendo la strada.
Tempo 5 km e dobbiamo fermarci per fare carburante, perché l’ambulanza è a secco.
E va bene: 20 minuti di sosta (perché dobbiamo controllare i livelli etc… è un lavoro accurato).
Ripartiamo a palla… a una velocità compresa fra i 20 e i 40 km/h. Tenkodogo dista 50 km: in effetti i malati più gravi non arrivano mai a destinazione, e muoiono sulla strada.
Ogni 10 km siamo costretti a fermarci per mettere acqua: l’apposito contenitore è bucato, per cui è continuamente da rabboccare. E quando passiamo in prossimità di una pompa, ne approfittiamo per riempire le taniche.
A metà del percorso (Garango), inizia l’asfalto (finalmente!! ho il cervello in pappa) per cui la velocità raggiunge picchi di 60 km/h.
Dopo un’ora e mezza di sballonzolamenti, arriviamo all’ospedale.
Desolazione totale. È l’ospedale più strutturato della provincia. Ha pressoché tutti i reparti. Sporcizia ovunque, un tanfo indicibile. La sala di cura ha porte e finestre aperte e tutti gli strumenti sono coperti da uno spesso strato di polvere rossa.
Nel frattempo Abas va in farmacia ad acquistare tutto ciò che serve per la visita: guanti sterili, bende, disinfettante… Funziona così: se vuoi essere curato, devi acquistare il necessario: peccato che la farmacista stia allattando il suo bambino e guardando la tv. Altra attesa. Io sono basita.
Si decide di chiamare il chirurgo per valutare la situazione. Attendiamo che arrivi, per fortuna 15 minuti solamente.
Dopo i saluti di rito e dopo aver visto e valutato la ferita, il medico comunica che è necessario suturare. L’autista dell’ambulanza è contrariato: lui è stanco e vorrebbe rientrare a Niaogho. Gli chiedo gentilmente di avere pazienza, non ha senso rientrare senza il guardiano. Lo facciamo tornare la mattina dopo stritolato in un taxi de brusse?!
Il chirurgo è andato a prepararsi nella palazzina di fronte: ne esce vestito come se dovesse entrare in sala operatoria: guanti sterili, mascherina, cuffia… ma così vestito attraversa tutto il cortile in mezzo ad una nube di polvere sollevata dal ciclomotore appena passato.
Dopo aver fatto il lavoro per cui è pagato dallo Stato, ci chiede 15mila CFA. Per il disturbo.
A mezzanotte e mezza ce ne andiamo, rientrando a Niaogho alle 2.
E per fortuna non era nulla di grave.
Questo breve fuori programma mi è costato 12.500 CFA (corsa dell’ambulanza)+29.500 CFA (farmaci e chirurgo), per un totale di  42.000 CFA (64 €).
Il guardiano neppure avrebbe avuto il denaro per l’ambulanza. E qui, mi sono resa conto, se non ci sono i soldi, l’ambulanza non parte.
La salute dovrebbe essere un diritto per tutti, ma resta privilegio di pochi.

martedì 8 novembre 2011

Il Tabaski

Il Tabaski è la più grande festa dell’anno per i musulmani. È il giorno in cui si ricorda il sacrificio di Abramo, per questo è anche detta la Festa dei Montoni.
Quest’anno è caduta di domenica, cui è seguito un giorno festivo (lunedì) per riposarsi appunto dalle fatiche dei festeggiamenti.
Già dal venerdì c’è grande fermento al villaggio. Tutti sono presi dai preparativi. Gli uomini avranno il tradizionale bubu (è una sorta di tunica, per la preghiera rigorosamente bianca, ma per la festa anche di altro colore), le donne indosseranno il loro abito più bello e sfarzoso. I ‘barbieri’ hanno la fila ininterrotta fino anche alle 10 di sera: tutti gli uomini desiderano essere perfetti per questo grande evento, e sfoggiano i tagli più curiosi. Le donne, dalle neonate alle anziane, non sono da meno, ed esibiscono le acconciature più curate e colorate che io abbia mai visto.
Il momento clou della giornata è la preghiera del mattino: non si svolge alla moschea, per mancanza di spazio. Ciascuna zona del villaggio si ritroverà all’aperto, in un punto prestabilito (solitamente davanti ad una scuola). Alla preghiera partecipa anche il Grand Marabou (l’Imam supremo di tutto il villaggio), che poi per tutto il giorno, presso la sua abitazione, riceverà la visita deii musulmani di Niaogho che andranno a salutarlo.
Tradizione di Tabaski è l’uccisione del montone. Il mio insegnante di francese mi dice che solo a Niaogho (villaggio, non dipartimento) saranno stati uccisi circa 1000 capi, in alcune famiglie ne sono stati uccisi quattro. In effetti è da sabato che di montoni in giro, neppure l’ombra.
Mi dicono che è educazione e buona norma, nel giorno di Tabaski, andare dai cari amici o dalle autorità cittadine per augurare ‘buona festa’.
E va bene, andiamo pure: dal mio insegnante, che mi ha cortesemente invitata, e da Malik.
C’è un piccolo problema: dovunque tu vada, non appena ti siedi ti viene messa davanti una pentola piena di riso e montone ed è scortese non servirsene. Ma sono le quattro del pomeriggio!!! E il riso col montone non è la cosa più leggera che il panorama gastronomico africano possa offrire.
Riesco a sottrarmi a questa tradizione solo perché sono bianca e perché i miei ospiti comprendono che le mie abitudini si discostano un po’ dalle loro… mentre Abas, che mi accompagna, si serve di buon grado presso tutte le abitazioni che visitiamo.
Gli amici che incontro mi invitano ad andare alla discoteca quella sera stessa. Io, pur non amando particolarmente questo genere di divertimento, accetto volentieri aspettandomi una serata passata fra chiacchiere e buona musica afro.
E invece no!
Solo ed esclusivamente musica ‘tunz tunz’ sparata a palla fino alle 4 del mattino. Fino alle 22 è pieno di bambini, che nella foga del ballo, alzano inevitabilmente una enorme nube di polvere. Poi è la volta dei grandi, e - Tabaski è l’unica occasione - anche delle ragazze.
“Abas, ti prego, andiamocene a casa. Questa musica è insopportabile”.
Ma la mia casa è proprio lì dietro: ok, musica tunz tunz fino alle 4.
E ieri sera abbiamo replicato, ma il dj, magnanimo, all’1 di notte ha iniziato con del sano raggae e alle 2 ha spento l’impianto.
Buonanotte Abas.

venerdì 4 novembre 2011

Maledetta plastica

L’erba si sta seccando.
E i rifiuti riappaiono inesorabilmente.
Sono per lo più rifiuti plastici: sacchetti neri utilizzati per la spesa; sacchetti bianchi, più resistenti, che all’origine contenevano acqua potabile; contenitori di creme; pezzi di secchi….
La plastica sta distruggendo lentamente Niaogho per almeno 3 motivi:
  1. i sacchetti neri (fra l’altro leggerissimi e perciò trasportati dal vento anche molto lontano) vengono spesso inghiottiti dagli animali al pascolo, che poi muoiono soffocati;
  2. quelli non inghiottiti dagli animali restano sul terreno, impoverendolo e rendendolo meno fertile;
  3. i gas prodotti dalle montagne di rifiuti rischiano di andare ad inquinare le falde acquifere sotterranee.
Una ONG italiana, LVIA (una sua sede è anche a Forlì) ha avviato qualche anno fa a Ouagadougou un Centro per il trattamento e la valorizzazione dei rifiuti plastici: la plastica viene acquistata pagandola un tot al kg, poi viene lavata, trattata e riutilizzata, magari producendo righelli e goniometri per la scuola.
Sarebbe una bella opportunità per il villaggio: si potrebbe creare una sorta di ‘bottega di acquisto plastica’, creando un piccolo reddito a fronte dell’impegno nella raccolta dei rifiuti.
Ho contattato il responsabile LVIA a Ouaga, chiedendogli un incontro per verificare la fattibilità di un simile progetto.
Speriamo ne esca qualcosa di positivo per Niaogho.

martedì 1 novembre 2011

Sul far della sera

Il momento della giornata che preferisco è il far della sera; a Niaogho, verso le 17.
Vado ogni giorno sul Nakambé: sul ponte quando ho voglia di chiacchierare un po’, lungo le rive se preferisco starmene un po’ tranquilla, ad osservare.
Il paesaggio è unico e mi comunica un forte senso di pace e serenità. La luce diventa meno accecante ed è come se il sole accarezzasse i tetti delle capanne per scusarsi di averli duramente colpiti durante la giornata. L’aria si fa mite… tutto mi sembra acquisire un volto più umano.