domenica 26 maggio 2013

Quegli adorabili ciuffetti

C’è molto fermento al villaggio: tutti stanno preparando i mattoni per costruire abitazioni con il tetto in lamiera ed il controsoffitto. Rare sono le persone che decidono di costruire le case, cioè le capanne tradizionali, circolari, fatte con mattoni di terra e sterco di mucca, intonacate allo stesso modo e coperte da paglia (lo sterco è il cemento dei niagholesi).
Ho sempre pensato che avessero cambiato modo di costruire perché più adatto al loro clima, ma mi sbagliavo.
Recentemente ho passato un po’ di tempo dentro le capanne, perché nei miei ‘giretti di perlustrazione’ faccio facilmente amicizia ed è frequente che i niagholesi mi invitino a restare un po’ con loro, magari mangiando tô (la polenta) di miglio o di mais. Mi è capitato di entrare nelle case anche nelle ore centrali del giorno, quelle in assoluto più calde, e scoprire con mia grande sorpresa che lì dentro non è affatto caldo, si sta al contrario molto bene e molto comodi seduti in terra, con la schiena poggiata alla parete.
Così ho iniziato a chiedere perché abbiano smesso di costruirle.
Tutti concordano: effettivamente dentro le case non si soffre né il caldo né il freddo. Sono straordinariamente isolanti. Se piove l’acqua non entra, e se tira vento è raro che possano scoperchiarsi.
Il problema è il tetto: è fatto di paglia, e la paglia oramai non si trova più.
In campagna tutti gli alberi (fatta eccezione per quelli da frutto) sono stati tagliati, e la forestale sta attuando controlli molto severi per preservare il poco rimasto.
Abas mi dice che al giorno d’oggi se vuoi fare una case, per il tetto devi alzarti alle 3 del mattino ed andare sulla strada per il villaggio di Ibogo: forse lì, pagando molto caro, potrai acquistare ciò che ti serve. E comunque dopo 2/3 anni dovrai cambiarlo, perciò si riproporrà il problema.
Altri mi dicono che sì, è vero che è difficile trovare la paglia per il tetto, ma la casa in cemento e mattoni è divenuta un po’ uno status symbol, e qui il prestigio sociale è basato su cosa e quanto possiedi. Non importa che la casa in cemento con il controsoffitto sia molto più calda, l’importante è costruirla.
La verità probabilmente sta nel mezzo.
Una cosa è certa: ho un piccolo pezzo di terra qui a Niaogho, e appena potrò ci costruirò un paio di case.
Siete tutti invitati sin da ora.



venerdì 10 maggio 2013

Il cambiamento

Il modo che qui tutti hanno di affrontare i problemi mi lascia sempre perplessa.
Non so se sia un atteggiamento proprio dei niagholesi, o se al contrario si possa generalizzare estendendolo a tutto il Paese ed oltre.
Si aspetta.
Prima o poi le cose si risolveranno.
Ça va aller”.
Nel frattempo il tempo passa.
Questo riguarda tutti gli ambiti della vita quotidiana: salute, famiglia, lavoro (se e quando c’è)…
Forse dipende dalla totale mancanza di mezzi: sono così abituati a non avere la possibilità di incidere sulla propria vita, che anche quando potrebbero averli, non li usano.
Io credo fermamente nel cambiamento, che un altro mondo sia possibile anche qui, nel cuore della brousse africana.
E credo nel cambiamento lento, fatto di piccole cose che poi si rivelano essere le più grandi.
Gandhi diceva “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Vorrei che i niagholesi facessero proprio questo concetto, e che lottassero e resistessero per quello in cui credono: è quello che ogni giorno tento di comunicare soprattutto ai giovani.
Ma in cosa credono?
Ci si può porre questa domanda quando il sostentamento della famiglia è incerto?
Quando il filo che ti tiene legato alla vita è talmente sottile che basta un soffio di vento per spezzarlo?
Quando i problemi sono talmente tanti che preferisci non affrontarli e quindi non pensarci?

Spesso mi rimproverano perché ho l’abitudine, quando ascolto gli altri, di tenere la testa appoggiata ad una mano: “non è una bella cosa” - mi dicono - “tu pensi troppo. Qui quando qualcuno è in quella posizione, facciamo di tutto per distrarlo ed impedirgli di pensare.”

mercoledì 1 maggio 2013

Il buio

Il buio a Niaogho è nero davvero.
Quando non c’è luna, per i miei occhi di donna abituata alla luce è difficile orientarsi.

Qualche sera fa sono uscita per andare a mangiare qualcosa al carrefour (l’incrocio), da Mariam: non era tardi… le 19e30 appena… ma il buio era già fondo… e senza luna (che in questi giorni sorge molto tardi).
Quando mi capita di uscire di notte, ho sempre la torcia con me… anche quella sera.
Uscita dal portone, mi sono incamminata lungo il sentiero, ed è stato immediato il bisogno di aprire le braccia e volgere lo sguardo al cielo stellato. Continuando a camminare (conosco il sentiero e so che non vi sono ostacoli di sorta) ho notato che tenendo lo sguardo fisso in su, gradualmente è come se le stelle si fossero accese per me una ad una, e quelle cadenti avessero deciso di iniziare allora una danza speciale a me dedicata… uno spettacolo…  
Poi sono tornata con lo sguardo avanti e… ehmm… non riconoscevo più la prospettiva: camminando al buio, pur con la torcia ma con il naso in su, ero uscita dal sentiero…
Sapevo di essere vicina a casa, poiché i profili delle capanne e delle poche case in mattoni mi era familiare, ma ero completamente disorientata.
Fermi tutti!!!
Con calma ho iniziato a illuminare lentamente le case/capanne vicine, e individuata la mia, mi ci sono diretta, per poi iniziare il percorso daccapo.
Alla fine sono riuscita ad arrivare da Mariam, sorridendo fra me e me, per gustare un piatto di igname, ma devo ammetterlo…
Mi ero proprio persa.

A 40 metri da casa.