lunedì 31 ottobre 2011

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La mentalità africana ancora non mi appartiene. No, no.
Altrimenti oggi non sarei di malumore.

Vado al nuovo CSPS, dove i muratori stanno costruendo le latrine degli alloggi degli infermieri.
Faccio un giro giusto per dare un’occhiata. Io, che non sono esperta di lavori edili, tantomeno di fattura africana, persino io mi accorgo dell’approssimazione con cui i lavori vengono condotti: in una latrina mancano le maniglie in ferro, nell’altra il buco esterno.
Quando chiedo spiegazioni mi viene detto “Je l’ai oublié” (l’ho dimenticato). L’ho dimenticato - capite?!

Durante la stagione delle piogge (Abas dice circa 4 mesi fa) il vento ha abbattuto un grande albero in prossimità di uno degli alloggi, per fortuna sfiorandolo appena, non distruggendo nulla.
4 mesi fa.
Lo taglio io? No, io no, fallo tu. Ma forse vuole tagliarlo l’altro. E se fosse che…
Nell’indecisione l’albero è tuttora accoccolato su un fianco, e - udite udite - il muratore aveva intenzione stamattina di costruirci sotto la latrina, senza tagliarlo.

No, decisamente devo ancora entrare nella mentalità africana.

sabato 29 ottobre 2011

Un nuovo vento

Jean-Roger, Boukary, Modibo. Mi vengono a trovare ogni tanto a casa per fare quattro chiacchiere e passare un po’ il tempo. Sono molto giovani (29, 20, 22 anni), tutti e tre senza nulla da fare qui al villaggio e alla ricerca di un lavoretto qualsiasi, anche solo per arrivare prima a sera.
Jean-Roger ha vissuto 9 anni in Italia, a Reggio Emilia, e parla molto bene la nostra lingua (qui al villaggio viene chiamato l’’italiano’). Mi dice aver conseguito il diploma ad indirizzo elettronico e di avere anche una qualifica professionale come meccanico. È tornato qui in Burkina Faso in seguito all’acuirsi della crisi: rimasto senza lavoro, non poteva più permettersi di pagare l’affitto e la vita nel Bel Paese era decisamente troppo cara.
Ora vorrebbe fare fruttare qui il suo titolo di studio e le sue competenze, ma Niaogho pare non averne bisogno.
Vengono a parlarmi dell’Associazione dei giovani per lo sviluppo di Niaogho: è una associazione nata circa un anno fa, con l’obiettivo di ricreare momenti di socialità e svago nel villaggio, siano essi culturali o sportivi. Per ora hanno organizzato un grande torneo di calcio, svoltosi nel maggio scorso, e hanno tentato di avviare delle attività di volontariato, nello specifico turni di pulizia quotidiani al CSPS. Purtroppo questo tipo di servizio qui non attecchisce, tutti presi come sono dal cercare il cibo per la giornata. Mi dicono che sono partiti, hanno tentato, ma poi hanno lasciato perdere, poiché i presunti volontari pretendevano di essere pagati per il tempo passato lavorando. Il risultato è che il direttivo dell’associazione ha deciso di assumere una persona per il lavoro di pulizia, pagandolo con le offerte dei soci raccolte in occasione delle riunioni (ogni partecipante deve versare 100 CFA per ogni riunione). Jean-Roger dissente da questo, e mi dice che è bene insistere sulla strada del volontariato: le persone a Niaogho devono abituarsi a pensare al bene della comunità e non esclusivamente al proprio, solo così si può sperare di cambiare qualcosa.
Boukary e Modibo approvano e si rammaricano del fatto che Jean-Roger non possa essere a pieno titolo membro dell’associazione, in quanto immigrato in Italia.
Pur non capendo la ragione di questa strana regola, sono felice di trovare ragazzi dalla mente aperta, che capiscano l’importanza del concetto di BENE COMUNE.
E ne ho incontrati tanti in questi giorni, molti più di quanto non credessi.
Questa mattina ad esempio ho fatto una lunga chiacchierata con uno dei ragazzi della gendarmeria a proposito del ruolo della donna qui in Burkina Faso. Lui sta facendo di tutto per fare studiare sua moglie e renderla il più indipendente possibile: “non è - mi dice - che io non voglia o non possa mantenerla, ma è giusto che lei sia autonoma. Col lavoro che faccio rimango lontano da casa per molti mesi l’anno, e poi potrebbe sempre accadermi qualcosa per cui lei si ritroverebbe sola. Voglio che trovi la sua indipendenza.”
Una bella scommessa!

giovedì 27 ottobre 2011

Le vélo de Mme Barbará

Ieri ho comprato la bici. Mi semplifica di non poco la vita: ora nella stessa mattina posso andare al vecchio CSPS, poi al nuovo e volendo posso anche ritornare al mercato. Senza rischiare di stramazzare a terra sotto il sole di mezzodì, che non sarebbe proprio una bella immagine.
Al momento dell’acquisto avevo addosso gli occhi di tutto il villaggio: forse - mi sono chiesta - non hanno mai visto un bianco in bicicletta?
Prima di montare in sella, mi sono defilata dalla folla del mercato, ma a poco è servito, poiché un nutrito gruppo di donne mi ha seguita per osservare in diretta lo spettacolo. E chi mi conosce sa quanto io possa imbarazzarmi per queste cose.
Non so per quale motivo, ma ho suscitato le risa di tutto il villaggio; poi mi hanno spiegato che qui si da per scontato che un bianco (e vale l’equazione bianco = ricco) debba acquistare una moto, non una bici. E si continuano a chiedere perché mai io abbia fatto questa scelta, a loro incomprensibile.
Nel frattempo sono iniziati i lavori per la costruzione delle latrine (relative agli alloggi degli infermieri) al nuovo CSPS: che bello vedere di nuovo il progetto avanzare!!!
E puntuali come non mai, arrivano anche i primi problemi: promesse fatte dai locali amministratori e non mantenute, incomprensioni (volute?!) con i muratori, il tentativo di sfruttare la presenza di una bianca da parte di qualcuno... Ma è l’Africa. E ogni giorno, ogni singolo nuovo giorno, dopo l’iniziale scoramento, ti devi ripetere qual è il tuo obiettivo e qual è il motore che ti spinge a restare qui.

lunedì 24 ottobre 2011

Mentre fuori piove

Niaogho: mi sembra di essere andata via ieri di qua. Il villaggio mi appare diverso: sei mesi fa avevo lasciato un paesaggio brullo, secco e arido, ora ritrovo tanto verde. Non è vegetazione rigogliosa: è chiaro che presto tutto si seccherà nuovamente e che il processo è già iniziato. La prima cosa che ho notato è stata la pressoché assenza di rifiuti plastici sparsi sul terreno, ma la sensazione di soddisfazione è durata poco, giusto il tempo di verificare che in realtà sono triplicati, ma invisibili agli occhi poiché nascosti dall’erba e dalla vegetazione. Non appena arriverà la stagione secca, tutto riaffiorerà.
La gente è sempre la stessa, ti apre il cuore. La cordialità, la sincera accoglienza… la semplice fierezza… sono parole che qui si riempiono di significato nuovo.
Ieri mattina, dopo avere lottato due giorni con i pipistrelli che avevano invaso la casa che mi ospita, sono andata a Messa alla chiesa del villaggio: un’esperienza fantastica, sotto diversi punti di vista. Una signora cattolica incontrata per strada mi aveva detto che la celebrazione sarebbe iniziata alle ore 8, così, visto che sarei andata a piedi e che non ricordavo esattamente quanto tempo servisse per arrivarci, sono partita da casa che non erano ancora le 7. Ho impiegato circa una mezz’oretta, comprese le soste lungo il tragitto per salutare alcune persone, ed ho avuto la conferma di ciò che Kapuscinski scriveva in Ebano. In Africa non ha senso stabilire un orario per iniziare un’attività: si inizia quando sono presenti tutti. È così per la Messa, iniziata quindi alle 8e40; è così per i taxi de brusse, che collegano la capitale con le campagne e che partono semplicemente quando sono pieni; è così per qualsivoglia altra attività che preveda la riunione di più persone.
La Chiesa è un edificio circolare in mattoni, dipinto con le tonalità ocra che riprendono il colore di questa terra. L’interno è molto semplice: spicca un enorme crocifisso in legno che Maturé poi mi dirà essere dono dei fratelli che lavorano in Italia. L’elemento più curioso, e allo stesso tempo ricco di significato, è il tabernacolo: è una piccola costruzione in fango e paglia che riprende esattamente - ovviamente in miniatura - le fattezze di una capanna.
Le prime ad arrivare sono le anziane: altissime; dalla figura esile come giunco, ma forte come corteccia; in grado di sprigionare una fierezza ed una dignità uniche, con i visi visibilmente segnati dal tempo, visi che raccontano storie di fatiche e lotte continue per la sopravvivenza. Sarei rimasta ore a fissare anche uno solo di questi visi. Si aiutano a vicenda per prendere posto fra le panche e trovare il luogo migliore, magari vicino alle finestre in modo da poter beneficiare delle folate di vento che ogni tanto arrivano da sud.
Poi gradualmente la chiesa si riempie: gli uomini tendenzialmente (ma non è una rigida regola) restano nella ‘navata’ di sinistra, le donne con i bambini a destra. I cori iniziano a fare le prove: il primo esegue canti rigorosamente in lingua francese, accompagnandosi con una tastiera e con una base elettronica; il secondo è il coro ‘storico’ del villaggio e canta in lingua bissà con un tripudio di percussioni. Ogni singolo momento della liturgia è scandito dal canto (molto più di quanto non facciamo noi in Italia) prima con l’intervento del coro bissa, poi del coro francese. Doppio canto per ogni occasione, e tutta l’assemblea partecipa. È una gioia. Moussa, un ragazzo mussulmano, mi dice che talvolta partecipa alle preghiere dei cattolici (lui la Messa la chiama così), soprattutto a Natale, “perché è bellissimo sentire tutti quei canti”.
In Chiesa siamo stipati, ci sono bambini in ogni angolo: qualcuno dorme steso in terra o accucciati dietro la schiena della mamma, altri prendono  il latte dal seno, altri ancora se ne stanno composti sulla propria panca. Quando qualche piccolino inizia a fare i capricci, viene coccolato dalla prima ‘mamma’ a disposizione. Qui le mamme sono mamme e basta, mamme di tutti i bimbi: è davvero incredibile osservare come si prendano cura con la stessa attenzione e la stessa tenerezza dei bimbi propri o di quelli altrui.
La celebrazione termina, non prima però di avere dato gli avvisi: fra le altre comunicazioni, vengono elencate una ad una le persone che nella settimana hanno subito una qualche operazione chirurgica (specificando anche la durata dell’intervento), o che stanno passando un momento di difficoltà vuoi per la salute precaria, vuoi per altri motivi. E poi viene lasciato spazio alle persone che vogliano condividere con la comunità piccoli gradi eventi di gioia o meno che hanno vissuto. Trovo sia molto bello.
Inizia da qui il mio soggiorno a Niaogho.
Inizia a soffiare qui (come dice un amico, che ringrazio) il vento impetuoso.

domenica 16 ottobre 2011

Ci siamo...

Manca un giorno alla partenza, mi sembra tutto così strano... si tratterà in realtà solo di sei mesi: un tempo brevissimo qui, abituati come siamo a correre da mattina a sera per far  fronte a mille impegni; un tempo molto più lungo in Africa, nello specifico Burkina Faso, dove talvolta le condizioni climatiche ti impongono ritmi inevitabilmente rallentati. Temo i momenti di solitudine, di mancanza della famiglia, degli amici... insomma, della casa. Ma allo stesso tempo non vedo l'ora di dedicarmi al progetto per il quale parto e di cominciare a concretizzare anche le altre idee messe insieme in questi mesi.
Questo blog - ammesso che io riesca a pubblicarlo (la tecnologia non è il mio forte) - è per potere comunicare con voi più facilmente, e per potere camminare insieme a voi per le vie di Niaogho.
Intanto partiamo dai 'fondamentali': il Burkina Faso. Cercatelo su un atlante o in rete: è un paese africano stretto fra Mali, Niger, Togo, Benin, Costa d'Avorio. Un paese di cui si parla poco o nulla, poiché non è meta turistica, non ha materie prime degne di nota ed è un paese piuttosto pacifico per la media dell'area. E' però il penultimo paese nelle classifiche mondiali per PIL pro-capite. E questo cambia tutto.
Avete trovato la cartina? Bene, ora individuate la capitale, il cui nome ha sonorità tipicamente africane: Ouagadougou, o più semplicemente Ouaga. Per raggiungere il villaggio di Niaogho occorre prendere la strada che da Ouaga porta a Tenkodogo, verso sud, rigorosamente in jeep, e in circa tre ore di 'sballonzolamenti' (cinque anni fa era un'ora e mezza, ma le strade sono notevolmente peggiorate), si arriva a destinazione.
E' da qui che vi scriverò - sperando di riuscire a collegarmi - e vi farò avere notizie.
Ed è da qui che spero di ricevere le vostre.