lunedì 24 ottobre 2011

Mentre fuori piove

Niaogho: mi sembra di essere andata via ieri di qua. Il villaggio mi appare diverso: sei mesi fa avevo lasciato un paesaggio brullo, secco e arido, ora ritrovo tanto verde. Non è vegetazione rigogliosa: è chiaro che presto tutto si seccherà nuovamente e che il processo è già iniziato. La prima cosa che ho notato è stata la pressoché assenza di rifiuti plastici sparsi sul terreno, ma la sensazione di soddisfazione è durata poco, giusto il tempo di verificare che in realtà sono triplicati, ma invisibili agli occhi poiché nascosti dall’erba e dalla vegetazione. Non appena arriverà la stagione secca, tutto riaffiorerà.
La gente è sempre la stessa, ti apre il cuore. La cordialità, la sincera accoglienza… la semplice fierezza… sono parole che qui si riempiono di significato nuovo.
Ieri mattina, dopo avere lottato due giorni con i pipistrelli che avevano invaso la casa che mi ospita, sono andata a Messa alla chiesa del villaggio: un’esperienza fantastica, sotto diversi punti di vista. Una signora cattolica incontrata per strada mi aveva detto che la celebrazione sarebbe iniziata alle ore 8, così, visto che sarei andata a piedi e che non ricordavo esattamente quanto tempo servisse per arrivarci, sono partita da casa che non erano ancora le 7. Ho impiegato circa una mezz’oretta, comprese le soste lungo il tragitto per salutare alcune persone, ed ho avuto la conferma di ciò che Kapuscinski scriveva in Ebano. In Africa non ha senso stabilire un orario per iniziare un’attività: si inizia quando sono presenti tutti. È così per la Messa, iniziata quindi alle 8e40; è così per i taxi de brusse, che collegano la capitale con le campagne e che partono semplicemente quando sono pieni; è così per qualsivoglia altra attività che preveda la riunione di più persone.
La Chiesa è un edificio circolare in mattoni, dipinto con le tonalità ocra che riprendono il colore di questa terra. L’interno è molto semplice: spicca un enorme crocifisso in legno che Maturé poi mi dirà essere dono dei fratelli che lavorano in Italia. L’elemento più curioso, e allo stesso tempo ricco di significato, è il tabernacolo: è una piccola costruzione in fango e paglia che riprende esattamente - ovviamente in miniatura - le fattezze di una capanna.
Le prime ad arrivare sono le anziane: altissime; dalla figura esile come giunco, ma forte come corteccia; in grado di sprigionare una fierezza ed una dignità uniche, con i visi visibilmente segnati dal tempo, visi che raccontano storie di fatiche e lotte continue per la sopravvivenza. Sarei rimasta ore a fissare anche uno solo di questi visi. Si aiutano a vicenda per prendere posto fra le panche e trovare il luogo migliore, magari vicino alle finestre in modo da poter beneficiare delle folate di vento che ogni tanto arrivano da sud.
Poi gradualmente la chiesa si riempie: gli uomini tendenzialmente (ma non è una rigida regola) restano nella ‘navata’ di sinistra, le donne con i bambini a destra. I cori iniziano a fare le prove: il primo esegue canti rigorosamente in lingua francese, accompagnandosi con una tastiera e con una base elettronica; il secondo è il coro ‘storico’ del villaggio e canta in lingua bissà con un tripudio di percussioni. Ogni singolo momento della liturgia è scandito dal canto (molto più di quanto non facciamo noi in Italia) prima con l’intervento del coro bissa, poi del coro francese. Doppio canto per ogni occasione, e tutta l’assemblea partecipa. È una gioia. Moussa, un ragazzo mussulmano, mi dice che talvolta partecipa alle preghiere dei cattolici (lui la Messa la chiama così), soprattutto a Natale, “perché è bellissimo sentire tutti quei canti”.
In Chiesa siamo stipati, ci sono bambini in ogni angolo: qualcuno dorme steso in terra o accucciati dietro la schiena della mamma, altri prendono  il latte dal seno, altri ancora se ne stanno composti sulla propria panca. Quando qualche piccolino inizia a fare i capricci, viene coccolato dalla prima ‘mamma’ a disposizione. Qui le mamme sono mamme e basta, mamme di tutti i bimbi: è davvero incredibile osservare come si prendano cura con la stessa attenzione e la stessa tenerezza dei bimbi propri o di quelli altrui.
La celebrazione termina, non prima però di avere dato gli avvisi: fra le altre comunicazioni, vengono elencate una ad una le persone che nella settimana hanno subito una qualche operazione chirurgica (specificando anche la durata dell’intervento), o che stanno passando un momento di difficoltà vuoi per la salute precaria, vuoi per altri motivi. E poi viene lasciato spazio alle persone che vogliano condividere con la comunità piccoli gradi eventi di gioia o meno che hanno vissuto. Trovo sia molto bello.
Inizia da qui il mio soggiorno a Niaogho.
Inizia a soffiare qui (come dice un amico, che ringrazio) il vento impetuoso.

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