giovedì 22 dicembre 2011

Tre giorni prima di Natale

Fra tre giorni è Natale: dovrei scrivere gli auguri sul blog. Almeno così mi è stato suggerito.
Ma mi risulta un po’ difficile.
Tutto mi sembra scontato e le parole mi paiono insufficienti per descrivere la pienezza e la luce che io ora sento dentro di me, e che vorrei tutti potessero sperimentare, ad ogni angolo del mondo.
Quindi, un sincero Buon Natale a tutti.
E chi vuol intendere, intenda J

martedì 20 dicembre 2011

L'arte del ricevere

È da quasi un mese che non aggiorno il blog: le cose da fare si sono accumulate, soprattutto in vista dell’arrivo del container, che riempirà poi le mie giornate.
Il container è fermo da una settimana ad Abidjan, in Costa d’Avorio, in attesa di trovare un treno che lo porti a Ouagadougou. Tutta la documentazione è pronta per lo sdoganamento; con Abas sono stata in capitale per i ‘sopralluoghi’ in dogana. Speravo di portarlo al villaggio prima di Natale, per evitare di scontrarci con le ferie di fine anno, ma evidentemente le cose andranno diversamente. Purtroppo dobbiamo fare i conti una delle piaghe di questa Africa: la corruzione. Probabilmente ad Abidjan qualche container arrivato dopo il nostro avrà magicamente la precedenza rispetto al nostro, depositato al porto già da diversi giorni.
Ma noi attendiamo fiduciosi e ci prepariamo allo scarico di letti, materassi, cisterne, tavoli e arredi vari per il CSPS, e poi banchi di scuola, abiti, scarpe, biciclette, tessuti e anche un piccolo teatrino per burattini con alcune marionette ed il necessario per costruirle.
Nel frattempo è arrivato anche Robert dall'Italia, che il container lo ha fisicamente preparato e caricato. Mi darà una grandissima mano: da dieci anni si divide fra Senegal e Madagascar per seguire progetti prevalentemente agricoli. Da lui sto già imparando molte cose.

I lavori al CSPS proseguono con le solite difficoltà: la settimana scorsa sono stata a Ouaga, al Ministero della Sanità, per verificare alcuni dettagli rispetto alla tettoia da costruire, ed ho scoperto - ma dai?! - che la planimetria delle latrine fornitaci a suo tempo dal governo è sbagliata.
Ma sai, in fondo stiamo parlando solo di quattro docce, cosa vuoi mai che siano?! Tanto noi i finanziamenti li troviamo sotto il baobab…
“Scusi” dico al responsabile del servizio “ma le docce ci sono già, sono all’interno degli alloggi”.
Mi fissa con aria di sufficienza mista a compassione, poi guarda Abas, seduto di fianco a me: “Evidentemente la signora non sa quali sono le nostre abitudini qui in Africa. Occorre avere una doccia esterna per gli eventuali ospiti.”
Ripenso al villaggio e a tutte le abitazioni (capanne) che neppure hanno la latrina… le docce per gli ospiti sono effettivamente una priorità per i niagholesi.
“Certo, capisco… quindi immagino siano necessarie”
“Non possiamo aprire il nuovo CSPS senza docce per gli ospiti”
Quando si dice che l’accoglienza è un’arte…

venerdì 25 novembre 2011

Con il cuore a pezzi

Da oltre una settimana sono al CSPS per la distribuzione dei farmaci gratuiti alla popolazione. I medicinali sono parte di una donazione fatta nell’aprile scorso al COGES, il comitato che gestisce il CSPS, che però non è stato in grado di gestirli.
Da che sono qui, mi sono resa conto di quanto sia difficile aiutare: talvolta noi occidentali nella foga del donare non pensiamo ai possibili risvolti che i nostri gesti possono avere.
Una donazione di farmaci, in una situazione come questa in cui le persone davvero muoiono per impossibilità di accedere alle cure, come può creare problemi?
E invece può. O meglio, è l’incapacità di gestire una cosa come questa a crearli.
Ora è tutto a posto, la soluzione è stata trovata, ed il fatto che sia io direttamente a distribuirli (in base alle prescrizioni mediche - s’intende) mette d’accordo tutti.
Lo stare al CSPS è una grande ‘esperienza dentro l’esperienza’: è una scuola di vita. È tutto così diverso da ciò che accade da noi, nei nostri ambulatori medici. Sono diversi la compostezza dei pazienti, la remissività dei bambini, la dolcezza del personale, la loro umana pietà, il rapporto con la perdita.
Talvolta l’esperienza diviene difficile: una settimana fa è arrivata una mamma con la sua piccolina di appena 5 mesi, le cui condizioni disperate rendevano necessario il trasferimento in ambulanza a Tenkodogo. Hanno atteso troppo prima di chiedere aiuto, e la malattia è divenuta grave. Disperazione della mamma e della nonna per la totale mancanza di mezzi, impossibilità di raggiungere anche solo telefonicamente il padre della bimba, andato a lavorare in un villaggio a 13 km di distanza. Si trovano i soldi per l’ambulanza e anche qualcosa da dare alle donne per gli eventuali farmaci da acquistare e per il cibo, nel caso in cui debbano trattenersi a Tenkodogo per alcuni giorni. Le rivedo 4 giorni dopo, la bimba sta un po’ meglio, ma deve assumere dei farmaci che la famiglia non può assolutamente permettersi (costo totale corrispondente a circa 1 €). Si trovano i soldi per i farmaci e sembra tutto a posto.
Ieri notte le incontro sulla via (la loro casa è a circa 50 metri dalla mia): stanno andando dal Marabou (una sorta di guaritore veggente) perché la bimba sta ancora male. Insisto fino allo sfinimento per convincerle ad andare al CSPS, non dal Marabou, che non può aiutarle. Chiamo il Major, per chiedergli se posso portargli la bimba, ma il telefono è staccato, e le donne riprendono la loro strada. Stamattina passo a casa loro per andare insieme al CSPS: troppo tardi. La bimba è morta stanotte.
I familiari hanno una compostezza indicibile.
Io ho il cuore a pezzi.
Anche questa è Africa.

domenica 20 novembre 2011

Pioggia e cereali

A Ouaga ho avuto l’occasione di leggere i quotidiani locali, che al villaggio non arrivano anche perché sarebbero ben poche le persone in grado di leggerli.
La notizia che campeggia è l’imminente crisi alimentare. La campagna agricola 2011-2012 si è conclusa con un grave deficit nella produzione cerealicola, causato da una insufficiente piovosità durante la stagione delle piogge. Secondo le stime del governo, mancano all’appello circa 32mila tonnellate di cereali, per gran parte riso e grano.
Su 45 province, 14 hanno un tasso di copertura superiore al 120%, 14 sono pressoché in situazione di equilibrio e le restanti 17 hanno avuto una produzione di cereali assolutamente inferiore alle aspettative, in alcuni casi (si prenda ad esempio la provincia di Kadiogo) sufficiente a coprire appena il 13% del fabbisogno.
La provincia di Boulgou (in cui si trova Niaogho) rientra fra le situazioni ‘di equilibrio’, con una copertura di circa il 93%, ma la popolazione è ben conscia di ciò che li aspetta e la preoccupazione per i prossimi 7 mesi è palpabile. D’altra parte il livello dell’acqua nel Nakambé è paurosamente basso per essere in novembre (perciò all’inizio della stagione secca), ed è impressionante vedere con quanta rapidità questo livello vada abbassandosi di giorno in giorno.
Il governo non fa altro che ricordare che ha già un piano ben definito per sfamare la popolazione, ricorrendo eventualmente all’importazione e alla diffusione a prezzi sociali.
Prezzi sociali.
Mi viene proprio da ‘ridere’.

mercoledì 16 novembre 2011

Ouaga è tutta un'altra storia

Ouagadougou è tutta un’altra storia.
Sono andata in capitale per un paio di giorni, per alcune commissioni: traffico convulso, tutti di corsa e relazioni personali ridotte al minimo. È esattamente il contrario di ciò che accade al villaggio, ed è per questo che già la seconda sera non vedevo l’ora di tornarmene a Niaogho.
Per raggiungere Ouaga ho utilizzato il taxi brusse: un pulmino anni ’60 da circa 15 posti compreso l’autista. All’andata eravamo 25 dentro l’abitacolo, 3 sul tetto insieme ai vari bagagli, scooter, bici, tre capre e un montone. Al ritorno siamo rimasti tutti pressati all’interno, probabilmente perché era già buio e sarebbe stato rischioso rimanere sul tetto. Qualche timore per la guida a dir poco spericolata del giovane conducente, ma in un paio d’ore sono giunta a destinazione, incolume e felice di riabbracciare Niaogho. Tutti sorpresi i miei compagni di viaggio, non è frequente che una bianca salga su un taxi brusse, e sono stata perciò accolta da sorrisi e calorosa accoglienza. Effettivamente è un mezzo di trasporto che, come la bicicletta, avvicina incredibilmente alle persone. È un modo per mettere da parte i privilegi e accettare le ‘loro’ condizioni: andare in capitale con un’auto costa minimo 50 euro per il carburante (senza considerare le eventuali riparazioni e il compenso per l’autista - io posso guidare al villaggio, ma in capitale, dove vige la legge del più forte, non ci penso neppure -), con il taxi brusse 5000 CFA (8 euro), e puoi caricare tutti i bagagli che vuoi. Ma soprattutto: chi ha l’auto al villaggio?! Il commerciante più ricco ne ha ben due, ma ovviamente vuole lucrarci sopra… e le latre tre auto che si vedono in giro… bhé, dubito fortemente riuscirebbero ad arrivare a Ouaga.
Una volta arrivati in capitale, ci si sposta coi taxi, molto spesso collettivi (nel senso che i posti disponibili vengono sfruttati al massimo): scassatissime auto verdi che ti chiedi come possano ancora funzionare e per cui ogni volta devi contrattare fino allo sfinimento.
Non ci sono orari di partenza per i taxi brusse: arrivi, paghi il biglietto, e aspetti che il taxi si riempia. Potrebbero passare 10 minuti, come un’ora o due ore. Ma noi non abbiamo fretta.
Qui non esiste il concetto di fretta. Ad eccezione di Ouaga.
Ouaga è tutta un’altra storia.

mercoledì 9 novembre 2011

La corsa in ambulanza

Sono le ore 19 quando mi chiama l’infermiere per dirmi che il guardiano del CSPS si è ferito tagliando un albero: è molto grave e occorre portarlo all’ospedale di Tenkodogo con l’ambulanza.
Un tuffo al cuore: sono io ad avere insistito perché quell’albero caduto fosse tagliato… e se ora dovesse succedere qualcosa di irreparabile… non potrei perdonarmelo.
Prendo la mia bici e con Abas corro al CSPS - quel km mi è parso eterno: trovo il guardiano sofferente, ma già tiro un sospiro di sollievo perché cammina da solo e mi sembra che sia solo il braccio ad essere stato colpito. L’infermiere di turno (il notturno inizia alle 17) e il Major stanno chiacchierando del più e del meno in attesa dell’autista dell’ambulanza, che hanno chiamato circa 30 minuti prima.
Nell’attesa chiedo se sia stato per lo meno somministrato un analgesico per calmare il dolore. No, non ci avevano pensato, ma “ormai le due farmacie sono chiuse. Mi dispiace”.
Scusate, ma non avete qualcosa qui? Posso pagare.”
Ok, va bene.”
Tempo altri 20/30 minuti e arriva l’autista dell’ambulanza, una jeep 5 porte che fatica un pochino a mettersi in moto.
Saliamo tutti. Sembra di essere dentro uno shaker per quanto sobbalziamo percorrendo la strada.
Tempo 5 km e dobbiamo fermarci per fare carburante, perché l’ambulanza è a secco.
E va bene: 20 minuti di sosta (perché dobbiamo controllare i livelli etc… è un lavoro accurato).
Ripartiamo a palla… a una velocità compresa fra i 20 e i 40 km/h. Tenkodogo dista 50 km: in effetti i malati più gravi non arrivano mai a destinazione, e muoiono sulla strada.
Ogni 10 km siamo costretti a fermarci per mettere acqua: l’apposito contenitore è bucato, per cui è continuamente da rabboccare. E quando passiamo in prossimità di una pompa, ne approfittiamo per riempire le taniche.
A metà del percorso (Garango), inizia l’asfalto (finalmente!! ho il cervello in pappa) per cui la velocità raggiunge picchi di 60 km/h.
Dopo un’ora e mezza di sballonzolamenti, arriviamo all’ospedale.
Desolazione totale. È l’ospedale più strutturato della provincia. Ha pressoché tutti i reparti. Sporcizia ovunque, un tanfo indicibile. La sala di cura ha porte e finestre aperte e tutti gli strumenti sono coperti da uno spesso strato di polvere rossa.
Nel frattempo Abas va in farmacia ad acquistare tutto ciò che serve per la visita: guanti sterili, bende, disinfettante… Funziona così: se vuoi essere curato, devi acquistare il necessario: peccato che la farmacista stia allattando il suo bambino e guardando la tv. Altra attesa. Io sono basita.
Si decide di chiamare il chirurgo per valutare la situazione. Attendiamo che arrivi, per fortuna 15 minuti solamente.
Dopo i saluti di rito e dopo aver visto e valutato la ferita, il medico comunica che è necessario suturare. L’autista dell’ambulanza è contrariato: lui è stanco e vorrebbe rientrare a Niaogho. Gli chiedo gentilmente di avere pazienza, non ha senso rientrare senza il guardiano. Lo facciamo tornare la mattina dopo stritolato in un taxi de brusse?!
Il chirurgo è andato a prepararsi nella palazzina di fronte: ne esce vestito come se dovesse entrare in sala operatoria: guanti sterili, mascherina, cuffia… ma così vestito attraversa tutto il cortile in mezzo ad una nube di polvere sollevata dal ciclomotore appena passato.
Dopo aver fatto il lavoro per cui è pagato dallo Stato, ci chiede 15mila CFA. Per il disturbo.
A mezzanotte e mezza ce ne andiamo, rientrando a Niaogho alle 2.
E per fortuna non era nulla di grave.
Questo breve fuori programma mi è costato 12.500 CFA (corsa dell’ambulanza)+29.500 CFA (farmaci e chirurgo), per un totale di  42.000 CFA (64 €).
Il guardiano neppure avrebbe avuto il denaro per l’ambulanza. E qui, mi sono resa conto, se non ci sono i soldi, l’ambulanza non parte.
La salute dovrebbe essere un diritto per tutti, ma resta privilegio di pochi.

martedì 8 novembre 2011

Il Tabaski

Il Tabaski è la più grande festa dell’anno per i musulmani. È il giorno in cui si ricorda il sacrificio di Abramo, per questo è anche detta la Festa dei Montoni.
Quest’anno è caduta di domenica, cui è seguito un giorno festivo (lunedì) per riposarsi appunto dalle fatiche dei festeggiamenti.
Già dal venerdì c’è grande fermento al villaggio. Tutti sono presi dai preparativi. Gli uomini avranno il tradizionale bubu (è una sorta di tunica, per la preghiera rigorosamente bianca, ma per la festa anche di altro colore), le donne indosseranno il loro abito più bello e sfarzoso. I ‘barbieri’ hanno la fila ininterrotta fino anche alle 10 di sera: tutti gli uomini desiderano essere perfetti per questo grande evento, e sfoggiano i tagli più curiosi. Le donne, dalle neonate alle anziane, non sono da meno, ed esibiscono le acconciature più curate e colorate che io abbia mai visto.
Il momento clou della giornata è la preghiera del mattino: non si svolge alla moschea, per mancanza di spazio. Ciascuna zona del villaggio si ritroverà all’aperto, in un punto prestabilito (solitamente davanti ad una scuola). Alla preghiera partecipa anche il Grand Marabou (l’Imam supremo di tutto il villaggio), che poi per tutto il giorno, presso la sua abitazione, riceverà la visita deii musulmani di Niaogho che andranno a salutarlo.
Tradizione di Tabaski è l’uccisione del montone. Il mio insegnante di francese mi dice che solo a Niaogho (villaggio, non dipartimento) saranno stati uccisi circa 1000 capi, in alcune famiglie ne sono stati uccisi quattro. In effetti è da sabato che di montoni in giro, neppure l’ombra.
Mi dicono che è educazione e buona norma, nel giorno di Tabaski, andare dai cari amici o dalle autorità cittadine per augurare ‘buona festa’.
E va bene, andiamo pure: dal mio insegnante, che mi ha cortesemente invitata, e da Malik.
C’è un piccolo problema: dovunque tu vada, non appena ti siedi ti viene messa davanti una pentola piena di riso e montone ed è scortese non servirsene. Ma sono le quattro del pomeriggio!!! E il riso col montone non è la cosa più leggera che il panorama gastronomico africano possa offrire.
Riesco a sottrarmi a questa tradizione solo perché sono bianca e perché i miei ospiti comprendono che le mie abitudini si discostano un po’ dalle loro… mentre Abas, che mi accompagna, si serve di buon grado presso tutte le abitazioni che visitiamo.
Gli amici che incontro mi invitano ad andare alla discoteca quella sera stessa. Io, pur non amando particolarmente questo genere di divertimento, accetto volentieri aspettandomi una serata passata fra chiacchiere e buona musica afro.
E invece no!
Solo ed esclusivamente musica ‘tunz tunz’ sparata a palla fino alle 4 del mattino. Fino alle 22 è pieno di bambini, che nella foga del ballo, alzano inevitabilmente una enorme nube di polvere. Poi è la volta dei grandi, e - Tabaski è l’unica occasione - anche delle ragazze.
“Abas, ti prego, andiamocene a casa. Questa musica è insopportabile”.
Ma la mia casa è proprio lì dietro: ok, musica tunz tunz fino alle 4.
E ieri sera abbiamo replicato, ma il dj, magnanimo, all’1 di notte ha iniziato con del sano raggae e alle 2 ha spento l’impianto.
Buonanotte Abas.

venerdì 4 novembre 2011

Maledetta plastica

L’erba si sta seccando.
E i rifiuti riappaiono inesorabilmente.
Sono per lo più rifiuti plastici: sacchetti neri utilizzati per la spesa; sacchetti bianchi, più resistenti, che all’origine contenevano acqua potabile; contenitori di creme; pezzi di secchi….
La plastica sta distruggendo lentamente Niaogho per almeno 3 motivi:
  1. i sacchetti neri (fra l’altro leggerissimi e perciò trasportati dal vento anche molto lontano) vengono spesso inghiottiti dagli animali al pascolo, che poi muoiono soffocati;
  2. quelli non inghiottiti dagli animali restano sul terreno, impoverendolo e rendendolo meno fertile;
  3. i gas prodotti dalle montagne di rifiuti rischiano di andare ad inquinare le falde acquifere sotterranee.
Una ONG italiana, LVIA (una sua sede è anche a Forlì) ha avviato qualche anno fa a Ouagadougou un Centro per il trattamento e la valorizzazione dei rifiuti plastici: la plastica viene acquistata pagandola un tot al kg, poi viene lavata, trattata e riutilizzata, magari producendo righelli e goniometri per la scuola.
Sarebbe una bella opportunità per il villaggio: si potrebbe creare una sorta di ‘bottega di acquisto plastica’, creando un piccolo reddito a fronte dell’impegno nella raccolta dei rifiuti.
Ho contattato il responsabile LVIA a Ouaga, chiedendogli un incontro per verificare la fattibilità di un simile progetto.
Speriamo ne esca qualcosa di positivo per Niaogho.

martedì 1 novembre 2011

Sul far della sera

Il momento della giornata che preferisco è il far della sera; a Niaogho, verso le 17.
Vado ogni giorno sul Nakambé: sul ponte quando ho voglia di chiacchierare un po’, lungo le rive se preferisco starmene un po’ tranquilla, ad osservare.
Il paesaggio è unico e mi comunica un forte senso di pace e serenità. La luce diventa meno accecante ed è come se il sole accarezzasse i tetti delle capanne per scusarsi di averli duramente colpiti durante la giornata. L’aria si fa mite… tutto mi sembra acquisire un volto più umano.


lunedì 31 ottobre 2011

...

La mentalità africana ancora non mi appartiene. No, no.
Altrimenti oggi non sarei di malumore.

Vado al nuovo CSPS, dove i muratori stanno costruendo le latrine degli alloggi degli infermieri.
Faccio un giro giusto per dare un’occhiata. Io, che non sono esperta di lavori edili, tantomeno di fattura africana, persino io mi accorgo dell’approssimazione con cui i lavori vengono condotti: in una latrina mancano le maniglie in ferro, nell’altra il buco esterno.
Quando chiedo spiegazioni mi viene detto “Je l’ai oublié” (l’ho dimenticato). L’ho dimenticato - capite?!

Durante la stagione delle piogge (Abas dice circa 4 mesi fa) il vento ha abbattuto un grande albero in prossimità di uno degli alloggi, per fortuna sfiorandolo appena, non distruggendo nulla.
4 mesi fa.
Lo taglio io? No, io no, fallo tu. Ma forse vuole tagliarlo l’altro. E se fosse che…
Nell’indecisione l’albero è tuttora accoccolato su un fianco, e - udite udite - il muratore aveva intenzione stamattina di costruirci sotto la latrina, senza tagliarlo.

No, decisamente devo ancora entrare nella mentalità africana.

sabato 29 ottobre 2011

Un nuovo vento

Jean-Roger, Boukary, Modibo. Mi vengono a trovare ogni tanto a casa per fare quattro chiacchiere e passare un po’ il tempo. Sono molto giovani (29, 20, 22 anni), tutti e tre senza nulla da fare qui al villaggio e alla ricerca di un lavoretto qualsiasi, anche solo per arrivare prima a sera.
Jean-Roger ha vissuto 9 anni in Italia, a Reggio Emilia, e parla molto bene la nostra lingua (qui al villaggio viene chiamato l’’italiano’). Mi dice aver conseguito il diploma ad indirizzo elettronico e di avere anche una qualifica professionale come meccanico. È tornato qui in Burkina Faso in seguito all’acuirsi della crisi: rimasto senza lavoro, non poteva più permettersi di pagare l’affitto e la vita nel Bel Paese era decisamente troppo cara.
Ora vorrebbe fare fruttare qui il suo titolo di studio e le sue competenze, ma Niaogho pare non averne bisogno.
Vengono a parlarmi dell’Associazione dei giovani per lo sviluppo di Niaogho: è una associazione nata circa un anno fa, con l’obiettivo di ricreare momenti di socialità e svago nel villaggio, siano essi culturali o sportivi. Per ora hanno organizzato un grande torneo di calcio, svoltosi nel maggio scorso, e hanno tentato di avviare delle attività di volontariato, nello specifico turni di pulizia quotidiani al CSPS. Purtroppo questo tipo di servizio qui non attecchisce, tutti presi come sono dal cercare il cibo per la giornata. Mi dicono che sono partiti, hanno tentato, ma poi hanno lasciato perdere, poiché i presunti volontari pretendevano di essere pagati per il tempo passato lavorando. Il risultato è che il direttivo dell’associazione ha deciso di assumere una persona per il lavoro di pulizia, pagandolo con le offerte dei soci raccolte in occasione delle riunioni (ogni partecipante deve versare 100 CFA per ogni riunione). Jean-Roger dissente da questo, e mi dice che è bene insistere sulla strada del volontariato: le persone a Niaogho devono abituarsi a pensare al bene della comunità e non esclusivamente al proprio, solo così si può sperare di cambiare qualcosa.
Boukary e Modibo approvano e si rammaricano del fatto che Jean-Roger non possa essere a pieno titolo membro dell’associazione, in quanto immigrato in Italia.
Pur non capendo la ragione di questa strana regola, sono felice di trovare ragazzi dalla mente aperta, che capiscano l’importanza del concetto di BENE COMUNE.
E ne ho incontrati tanti in questi giorni, molti più di quanto non credessi.
Questa mattina ad esempio ho fatto una lunga chiacchierata con uno dei ragazzi della gendarmeria a proposito del ruolo della donna qui in Burkina Faso. Lui sta facendo di tutto per fare studiare sua moglie e renderla il più indipendente possibile: “non è - mi dice - che io non voglia o non possa mantenerla, ma è giusto che lei sia autonoma. Col lavoro che faccio rimango lontano da casa per molti mesi l’anno, e poi potrebbe sempre accadermi qualcosa per cui lei si ritroverebbe sola. Voglio che trovi la sua indipendenza.”
Una bella scommessa!

giovedì 27 ottobre 2011

Le vélo de Mme Barbará

Ieri ho comprato la bici. Mi semplifica di non poco la vita: ora nella stessa mattina posso andare al vecchio CSPS, poi al nuovo e volendo posso anche ritornare al mercato. Senza rischiare di stramazzare a terra sotto il sole di mezzodì, che non sarebbe proprio una bella immagine.
Al momento dell’acquisto avevo addosso gli occhi di tutto il villaggio: forse - mi sono chiesta - non hanno mai visto un bianco in bicicletta?
Prima di montare in sella, mi sono defilata dalla folla del mercato, ma a poco è servito, poiché un nutrito gruppo di donne mi ha seguita per osservare in diretta lo spettacolo. E chi mi conosce sa quanto io possa imbarazzarmi per queste cose.
Non so per quale motivo, ma ho suscitato le risa di tutto il villaggio; poi mi hanno spiegato che qui si da per scontato che un bianco (e vale l’equazione bianco = ricco) debba acquistare una moto, non una bici. E si continuano a chiedere perché mai io abbia fatto questa scelta, a loro incomprensibile.
Nel frattempo sono iniziati i lavori per la costruzione delle latrine (relative agli alloggi degli infermieri) al nuovo CSPS: che bello vedere di nuovo il progetto avanzare!!!
E puntuali come non mai, arrivano anche i primi problemi: promesse fatte dai locali amministratori e non mantenute, incomprensioni (volute?!) con i muratori, il tentativo di sfruttare la presenza di una bianca da parte di qualcuno... Ma è l’Africa. E ogni giorno, ogni singolo nuovo giorno, dopo l’iniziale scoramento, ti devi ripetere qual è il tuo obiettivo e qual è il motore che ti spinge a restare qui.

lunedì 24 ottobre 2011

Mentre fuori piove

Niaogho: mi sembra di essere andata via ieri di qua. Il villaggio mi appare diverso: sei mesi fa avevo lasciato un paesaggio brullo, secco e arido, ora ritrovo tanto verde. Non è vegetazione rigogliosa: è chiaro che presto tutto si seccherà nuovamente e che il processo è già iniziato. La prima cosa che ho notato è stata la pressoché assenza di rifiuti plastici sparsi sul terreno, ma la sensazione di soddisfazione è durata poco, giusto il tempo di verificare che in realtà sono triplicati, ma invisibili agli occhi poiché nascosti dall’erba e dalla vegetazione. Non appena arriverà la stagione secca, tutto riaffiorerà.
La gente è sempre la stessa, ti apre il cuore. La cordialità, la sincera accoglienza… la semplice fierezza… sono parole che qui si riempiono di significato nuovo.
Ieri mattina, dopo avere lottato due giorni con i pipistrelli che avevano invaso la casa che mi ospita, sono andata a Messa alla chiesa del villaggio: un’esperienza fantastica, sotto diversi punti di vista. Una signora cattolica incontrata per strada mi aveva detto che la celebrazione sarebbe iniziata alle ore 8, così, visto che sarei andata a piedi e che non ricordavo esattamente quanto tempo servisse per arrivarci, sono partita da casa che non erano ancora le 7. Ho impiegato circa una mezz’oretta, comprese le soste lungo il tragitto per salutare alcune persone, ed ho avuto la conferma di ciò che Kapuscinski scriveva in Ebano. In Africa non ha senso stabilire un orario per iniziare un’attività: si inizia quando sono presenti tutti. È così per la Messa, iniziata quindi alle 8e40; è così per i taxi de brusse, che collegano la capitale con le campagne e che partono semplicemente quando sono pieni; è così per qualsivoglia altra attività che preveda la riunione di più persone.
La Chiesa è un edificio circolare in mattoni, dipinto con le tonalità ocra che riprendono il colore di questa terra. L’interno è molto semplice: spicca un enorme crocifisso in legno che Maturé poi mi dirà essere dono dei fratelli che lavorano in Italia. L’elemento più curioso, e allo stesso tempo ricco di significato, è il tabernacolo: è una piccola costruzione in fango e paglia che riprende esattamente - ovviamente in miniatura - le fattezze di una capanna.
Le prime ad arrivare sono le anziane: altissime; dalla figura esile come giunco, ma forte come corteccia; in grado di sprigionare una fierezza ed una dignità uniche, con i visi visibilmente segnati dal tempo, visi che raccontano storie di fatiche e lotte continue per la sopravvivenza. Sarei rimasta ore a fissare anche uno solo di questi visi. Si aiutano a vicenda per prendere posto fra le panche e trovare il luogo migliore, magari vicino alle finestre in modo da poter beneficiare delle folate di vento che ogni tanto arrivano da sud.
Poi gradualmente la chiesa si riempie: gli uomini tendenzialmente (ma non è una rigida regola) restano nella ‘navata’ di sinistra, le donne con i bambini a destra. I cori iniziano a fare le prove: il primo esegue canti rigorosamente in lingua francese, accompagnandosi con una tastiera e con una base elettronica; il secondo è il coro ‘storico’ del villaggio e canta in lingua bissà con un tripudio di percussioni. Ogni singolo momento della liturgia è scandito dal canto (molto più di quanto non facciamo noi in Italia) prima con l’intervento del coro bissa, poi del coro francese. Doppio canto per ogni occasione, e tutta l’assemblea partecipa. È una gioia. Moussa, un ragazzo mussulmano, mi dice che talvolta partecipa alle preghiere dei cattolici (lui la Messa la chiama così), soprattutto a Natale, “perché è bellissimo sentire tutti quei canti”.
In Chiesa siamo stipati, ci sono bambini in ogni angolo: qualcuno dorme steso in terra o accucciati dietro la schiena della mamma, altri prendono  il latte dal seno, altri ancora se ne stanno composti sulla propria panca. Quando qualche piccolino inizia a fare i capricci, viene coccolato dalla prima ‘mamma’ a disposizione. Qui le mamme sono mamme e basta, mamme di tutti i bimbi: è davvero incredibile osservare come si prendano cura con la stessa attenzione e la stessa tenerezza dei bimbi propri o di quelli altrui.
La celebrazione termina, non prima però di avere dato gli avvisi: fra le altre comunicazioni, vengono elencate una ad una le persone che nella settimana hanno subito una qualche operazione chirurgica (specificando anche la durata dell’intervento), o che stanno passando un momento di difficoltà vuoi per la salute precaria, vuoi per altri motivi. E poi viene lasciato spazio alle persone che vogliano condividere con la comunità piccoli gradi eventi di gioia o meno che hanno vissuto. Trovo sia molto bello.
Inizia da qui il mio soggiorno a Niaogho.
Inizia a soffiare qui (come dice un amico, che ringrazio) il vento impetuoso.

domenica 16 ottobre 2011

Ci siamo...

Manca un giorno alla partenza, mi sembra tutto così strano... si tratterà in realtà solo di sei mesi: un tempo brevissimo qui, abituati come siamo a correre da mattina a sera per far  fronte a mille impegni; un tempo molto più lungo in Africa, nello specifico Burkina Faso, dove talvolta le condizioni climatiche ti impongono ritmi inevitabilmente rallentati. Temo i momenti di solitudine, di mancanza della famiglia, degli amici... insomma, della casa. Ma allo stesso tempo non vedo l'ora di dedicarmi al progetto per il quale parto e di cominciare a concretizzare anche le altre idee messe insieme in questi mesi.
Questo blog - ammesso che io riesca a pubblicarlo (la tecnologia non è il mio forte) - è per potere comunicare con voi più facilmente, e per potere camminare insieme a voi per le vie di Niaogho.
Intanto partiamo dai 'fondamentali': il Burkina Faso. Cercatelo su un atlante o in rete: è un paese africano stretto fra Mali, Niger, Togo, Benin, Costa d'Avorio. Un paese di cui si parla poco o nulla, poiché non è meta turistica, non ha materie prime degne di nota ed è un paese piuttosto pacifico per la media dell'area. E' però il penultimo paese nelle classifiche mondiali per PIL pro-capite. E questo cambia tutto.
Avete trovato la cartina? Bene, ora individuate la capitale, il cui nome ha sonorità tipicamente africane: Ouagadougou, o più semplicemente Ouaga. Per raggiungere il villaggio di Niaogho occorre prendere la strada che da Ouaga porta a Tenkodogo, verso sud, rigorosamente in jeep, e in circa tre ore di 'sballonzolamenti' (cinque anni fa era un'ora e mezza, ma le strade sono notevolmente peggiorate), si arriva a destinazione.
E' da qui che vi scriverò - sperando di riuscire a collegarmi - e vi farò avere notizie.
Ed è da qui che spero di ricevere le vostre.