mercoledì 15 febbraio 2012

Gente che viene e gente che va

Yaya avrà 20 anni, una moglie e una bimba di appena qualche mese. Quando arrivo qui a Niaogho, ha grandi progetti che coltiva con modestia ed entusiasmo: si sta preparando per aprire un chiosco. Niente di pretenzioso: quattro mura, tre panchine, la possibilità di servire nescafé, te, e in base alle disponibilità del giorno, riso o pasta. Ma la posizione è ottima, proprio sull’incrocio, dove fermano tutti i taxi brusse e dove c’è un po’ lo struscio serale (se così possiamo chiamarlo).
Yaya ha proprio la faccia da buono, e i suoi dolcissimi occhi ti comunicano voglia di fare per dare un futuro alla sua bimba e agli altri figli che probabilmente verranno.
Il chiosco apre, ma i prezzi sono imposti dal mercato, e il margine di guadagno davvero non c’è, nonostante abbia una buona clientela e gli amici passino spesso a trovarlo.
A gennaio mi dicono stia pensando di andare in Libia, poiché là sicuramente c’è lavoro: in diversi tentiamo di dissuaderlo, mettendogli davanti la realtà delle cose, ma a poco serve, poiché una mattina Yaya non lo si trova più. Il chiosco è chiuso e sua madre e sua moglie non sanno dove sia.
Chiamerà qualche giorno dopo: si trova in Niger, in un villaggio del nord. Ha finito tutti i soldi e lì non c’è modo di guadagnare qualcosa né per proseguire né per tornare. Non sa come fare, ma in testa il miraggio della Libia e del lavoro sicuro.
Moussa mi dice che succede spesso: chi parte all’avventura per un paese africano non avverte amici e parenti, ma accade così, che un giorno ti svegli e quella persona non si trova più. Se ne è andata senza salutare mogli, figli, genitori, amici. Partono e basta, senza bagaglio, con gli abiti che hanno addosso, pochi soldi in tasca e tanta speranza in un futuro migliore.

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