venerdì 26 aprile 2013

La febbre dell'oro

Anche Niaogho ha la sua miniera d’oro.
Qualche mese fa, in un terreno fra Tengsoba e Sondogo, hanno trovato alcune pepite, e da allora è una corsa continua. Le opinioni in paese sono discordanti, così decido di andare a vedere di persona, con nella mente le terribili immagini della miniera di Tiebelé, visitata due anni fa.
Il ‘sito d’oro’ - come lo chiamano loro - non è molto distante da Niaogho: non saprei dire quanti chilometri siano, ma non credo più di un paio. Il paesaggio è fantastico, ed essendo aperta campagna, ci sono più alberi di quanti non se ne vedano al villaggio. Ogni tanto incontriamo il letto di quello che durante le piogge è un torrente, e così io e Moussa dobbiamo scendere dalla bici e traversarlo a piedi.
Il sole picchia forte, ma il vento ci accompagna per tutto il tragitto, talvolta ostacolando quasi con dispetto il nostro avanzare.
Quando arriviamo veniamo accolti con calore, sembran tutti molto contenti di vederci. I buchi sono molto ravvicinati. “È per questo” - mi dice il mio amico - che spesso ci sono dei crolli. Per fortuna non si è ancora fatto male nessuno. Qui non sono molto profondi… fose 8/10 metri, ma da quella parte (e mi indica una collinetta alle nostre spalle) arrivano anche a 30 metri di profondità”.
Giusto il tempo di un veloce filmato, e ripartiamo subito, perché Moussa - che ogni tanto viene qui a lavorare - vuole portarmi all’hangar di suo fratello.
Appena oltrepassiamo la collina, ecco una distesa circolare di capanne… vista da lontano sembra una ferita aperta su questa meravigliosa terra che faticosamente sta rifiorendo grazie alle piogge dei giorni scorsi. Tante capanne di fortuna, tutte uguali… riconosco gli strumenti e le tecniche viste a Tiebelé. E riconosco anche alcuni visi visti laggiù: i visi dei niagholesi che avevano deciso di cercare fortuna in quella lontana miniera.
Là avevo letto disperazione nei visi delle persone: qui sembrano tutti contenti.
Il fratello di Moussa soprattutto: gli dico che lo trovo cambiato, più sereno e rilassato. E mi conferma che qui nella miniera di Niaogho è tutta un’altra cosa: si trova spesso l’oro, anche se ormai non più come i primi tempi, e lui si è potuto comprare la nuova moto (che mi mostra con orgoglio), due tori e ha sempre un po’ di soldi da parte. Mi fa accomodare nel suo hangar, e mi dice che probabilmente sto poggiando i piedi su una distesa di pagliuzze d’oro. Qui nell’hangar si procede al lavaggio della sabbia ottenuta dalla frantumazione dei sassi: è l’ultimo stadio della catena.
Ci si cala nelle gallerie (che chiamano semplicemente buchi) e si prelevano i sassi, che verranno poi lavati bene e, se considerati interessanti, ridotti in piccoli pezzi. A questo punto se la quantità lo richiede ci si rivolgerà al proprietario di un macchinario che trasformerà le pietre in polvere, altrimenti questa operazione verrà fatta a mano, con una sorta di mortaio in metallo.
A questo punto la sabbia verrà lavata su delle assi ricoperte da pezzi di stoffa: l’acqua e la sabbia scorreranno via, mentre l’oro, più pesante, resterà nel tessuto, che verrà poi lavato in un recipiente il cui contenuto verrà a sua volta esaminato con un grande piatto.
Non vedo bambini intorno… molti giovani, qualche adolescente, ma non bambini sotto i 13 anni. Chiedo agli amici di Moussa, ma mi dicono che no, qui non è come negli altri posti: non permetterebbero mai ai bambini di calarsi nei buchi, ma sanno che in Burkina è una abitudine frequente.
Un signore mi mostra il contenuto del suo ‘piatto’, ma io vedo solo sabbia… lui mi indica un angolo dicendomi “guarda, è oro”… io mi scuso con lui, ma continuo a non vedere nulla. Il ragazzo dell’hangar vicino mi chiama per mostrarmi il suo, ed effettivamente ora lo vedo, e mi sembra pure parecchio.
Guardandomi intorno vedo solo capanne e immondizia, immondizia e capanne. Mi chiedo cosa resterà di questa terra quando l’avranno spogliata anche dell’ultima pagliuzza: i contadini che qui coltivavano miglio sono stati espropriati in nome del Dio-oro, ed ora non è che un ammasso di fango, sassi, paglia e plastica, tanta plastica, tantissima plastica lasciata in terra.
Le condizioni di lavoro sono nettamente migliori rispetto a Tiebelé (se non altro per la probabilità di guadagno), ma comunque al limite della sopportazione. Eppure sono tutti corsi qui a scavare, rischiando la vita.
Al villaggio c’è chi è a favore e chi invece è assolutamente contrario a questa miniera.
Il capo infermiere sottolinea che con l’apertura della miniera c’è stata una impennata di infezioni sessualmente trasmissibili, e che la prostituzione si sta diffondendo.
In paese lamentano una impennata dei prezzi (la legge della domanda e dell’offerta non perdona) sugli alimenti, ma anche sull’affitto delle case o sugli oggetti di uso comune come le stuoie per coprire gli hangar.
La Direttrice della scuola Tengsoba B mi dice che molti genitori hanno tolto i bambini dalle classi per portarli con sé in miniera: là vengono destinati ai compiti meno faticosi.
Ma è un’opportunità, dicono altri. Un’opportunità per cambiare vita.

La ‘febbre dell’oro’.
Ora l’ho vista.
L’ho vista nel fratello di Moussa.
E ho capito stamattina, dopo due anni, cosa fosse quella strana luce nei suoi occhi.

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