domenica 21 aprile 2013

L'attesa

Il Burkina è come se non l’avessi mai lasciato.
A Ouagadougou, dopo un atteraggio pazzesco con sobbalzi continui, mi accolgono 43 °C. Ed una lunga fila al controllo passaporti, poiché sono stati introdotti sistemi sofisticatissimi per il controllo dei passeggeri in entrata. Iniziano le attese. Le avevo dimenticate: come sempre accade la memoria tende ad essere selettiva.
Arrivo alla stazione dei taxi brusse alle 10e30 circa. Abas mi dice di salire su un mezzo che farà la tratta fino a Garango, passando quindi per Niaogho. Sul furgone c’è solo una persona, per cui dico ad Abas che salirò non appena l’autista ci dirà che parte… tanto dovremo aspettare ore.
Ma Abas mi suggerisce di prendere posto poiché non si tarderà molto a partire.
Colpa mia. Sapevo che il termine ‘molto’ ha qui significati variabili.
Va bene… insomma… si fa per dire.
Attendo 3 ore dentro questo furgone, sotto i soliti 43 °C, per non ‘perdere la priorità acquisita’ su questo fantastico posto finestrino che prevede sotto i miei piedi sacchi di cemento e tubi di ferro. Gradualmente il taxi brusse va riempiendosi, mentre i numerosissimi venditori ambulanti si alternano e ci propongono le merci più svariate, dagli spiedini di carne e gateaux, ai peluches e dentifrici.
Alle 13 e 30 al posto di guida si siede un ragazzino che mette in moto, e tutti i presenti si sistemano per il viaggio, finalmente contenti che si parta. Ma dopo avere percorso 30 metri, il furgone si ferma ancora. Quel ragazzino non può guidare, non ha la patente: l’autista non si sa che fine abbia fatto… bisognerà aspettare, sempre sotto i 43 gradi, questa volta tutti pressati.
Dopo circa 45 minuti arriva un ragazzone vestito tutto elegante: è lui l’autista!!! Bene, bene… si parte.
Eh no, cari miei!!! E’ l’ora della preghiera. Quindi il ragazzone appoggia la sua borsa sul sedile e se va verso la vicina moschea. Io scruto i volti dei miei vicini scuotendo il capo, per trovare anche nel loro un accenno perlomeno di disappunto. Tutti sembrano concordare… in fondo - dicono - avrebbe potuto organizzarsi in modo da essere di ritorno un po’ prima, o comunque potrebbe pregare dopo… è ammesso dalla religione. “Ah… les africaines…!!!”, ripete Abas.
Alle 14e30 finalmente si parte davvero, belli pigiati, alla volta di Niaogho, dove arriviamo dopo circa due ore e mezza.
Il calore delle persone mi lascia ancora una volta senza parole.
Mi corrono incontro per stringermi la mano e sembrano molto felici quando mi sentono rispondere al loro saluto in lingua bissa.
E le donne… come sempre impareggiabili… stamattina al mercato mi hanno accolta con un applauso… di un dolcezza infinita. Ne mancava una… la più anziana, quella che una volta mi sgridò perché compravo dalle altre e non da lei (non riuscii a spiegarle che avrei comprato un po’ da tutte poco alla volta perché non parla francese)… per un attimo ho temuto il peggio, ma mi hanno detto che da sei mesi non sta bene e non fa più il mercato… così sono andata a trovarla a casa, con sua grande sorpresa e gioia. Il gusto delle piccole cose.

Purtroppo non tutto è esattamente come l’avevo lasciato.
Alcune persone non ci sono più. Una di queste è Seyba: era il responsabile del gruppo di teatro civile di Niaogho, col quale ho collaborato in più di una occasione.
È deceduto circa due mesi fa. Mi viene spontaneo chiedere quale sia stata la causa del decesso… era così giovane… Ma lo sguardo di Abas mi ricorda l’inutilità di una domanda che, dovrei saperlo, è destinata a restare senza risposta.

2 commenti:

  1. ......leggo il tuo racconto , chiudo gli occhi .....e mi sembra di essere li !!!!
    Sei , fenomenale !!!!!!!!
    Un grande abbraccio e buon lavoro Barbara ...

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  2. Volevo scrivere la stessa cosa, ma qualcun'altro mi ha preceduto!

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